Brescia 16 aprile 1946
Al Comando delle Fiamme verdi di Brescia
Abbiamo ritenuto di inviare questa relazione sulla costituzione e vita del Gruppo Pelosi, che riteniamo utile per il ricordo di una delle prime Fiamme verdi della città: Peppino Pelosi.
Purtroppo la relazione non è stata fatta con la dovuta cura per mancanza di tempo: tuttavia rispecchia fedelmente i fatti avvenuti, che sono raccontati obiettivamente dal Vicecomandante del Gruppo e dall’aiutante del Gruppo stesso, che furono compagni di Peppino nella fondazione e che seguirono il Gruppo e Peppino nelle gioie e dolori del movimento ribellistico di Brescia.
Firmato: Gelmi Pierino, Vicecomandante del Gruppo Pelosi
Firmato: Minelli Lino Aiutante dello stesso
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Otto settembre, smarrimento di ogni coscienza nazionale soprattutto i giovani sembrano disorientati, ma subito si riprendono e, piuttosto che sottomettersi al tedesco invasore, si danno alla macchia.
Per questo Peppino Pelosi, anima ardente di cospiratore e di grande patriota, giovane bensì di anni e di esperienza ma ricco di fede e di ardimento, concepisce e si orienta verso i primi movimenti ribellistici.
Sono al suo fianco, come vicecomandante, un suo compagno d’arme, già come lui ufficiale del 24 fanteria “Como” della divisione Isonzo, di stanza nei crudi Balcani, e come aiutante, il sergente maggiore dell’Esercito, già in Francia, amici carissimi ambedue di Pelosi.
Dopo essersi consultati brevemente, con la decisione propria dei giovani, iniziano, i tre, i primi contatti con coloro che diverranno gli esponenti del movimento partigiano di Brescia Ribelle. Non bisogna perdere tempo ed il 10 settembre Pelosi lascia la città con i suoi fidi ed un gruppo di uomini, alla volta di Croce di Marone.
Si costituisce così il primo gruppo armato per la lotta clandestina della provincia e uno dei primi gruppi partigiani d’Italia. A Gardone V.T. si fa una piccola tappa, perché Pelosi non ritiene opportuno raggiungere i piedi del Guglielmo con soli dieci uomini, ma vuole avere subito la certezza che altri lo seguiranno. E si reca, pertanto, dai Rev. Preti di Gardone, che lo accolgono nello studio del Parroco. La visita è gradita perché questi bravi sacerdoti accolgono volentieri le sue esposizioni, accettano con entusiasmo la sua fede ed assicurano di coadiuvarlo, nel limite del possibile, nell’impresa.
Il seme è gettato su buon terreno ed altri giovani ardenti di lottare contro l’invasore, ingrossano le file del Gruppo, portati di Don Giuseppe Pintozzi (Pintossi), che diverrà il cappellano del Gruppo e per esso officerà quasi ogni giorno la Messa.
I rifugi di Croce di Marone sono gli accantonamenti per gli uomini che dormono sui fienili con una sola coperta, nonostante la stagione piuttosto rigida. Il comando si stabilisce in una villetta prospiciente la valle di Marone, gentilmente messa a disposizione, con tutto l’arredamento, dalla proprietaria, sig. Guerrini. I rifornimenti pervengono direttamente da Brescia in un magazzino di Gardone V.T. e da qui, spalleggiati, giungono e Croce di Marone; il vitto sempre sufficiente, poiché con le sovvenzioni che giungono dal Comitato clandestino e con il denaro personale di Pelosi, che non esita a dare tutto quanto è SUO per il Gruppo, si possono acquistare i generi necessari. I pasti sono cucinati nei rifugi, dove sono consumati a turni regolari. Gli uomini staccati pensano direttamente al prelievo dei viveri ed alla cucina. Sono questi ultimi le staffette e le vedette dei punti strategici. Dopo alcuni giorni, verso il 20 settembre, si affianca al Gruppo il Cap. Camplani con alcuni uomini, che già hanno disarmato i militi fascisti della C.A. del monte Guglielmo. Questo secondo gruppo si stabilisce a Culma di Zone, prendendo subito contatto con il più numeroso Gruppo Pelosi.
Grave è la penuria di armi in quanto gli uomini sono armati di pochi fucili ed alcune pistole personali, con pochissime munizioni.
Pelosi decide allora di mandare alcuni uomini a Marone con l’incarico di disarmare la stazione dei Carabinieri. Il colpo riesce e si
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catturano cosi alcuni fucili e munizioni.
Si tenta, sempre in settembre, un colpo ad una piccola polveriera del posto, ma, purtroppo, è uno sforzo vano: l’esplosivo non esiste nella vuota polveriera e le affannate ricerche hanno il solo risultato di attirare l’attenzione dei Carabinieri sugli uomini incaricati del colpo di mano e, di conseguenza sul Gruppo e sulla sua ubicazione.
Infatti, alcuni giorni dopo, due carabinieri giungono a Croce di Marone ma non sono molestati e gli uomini, all’erta, si nascondono nelle pinete e nei cascinali.
Sempre più urgente si fa il bisogno di armi automatiche atte a più idonea e sicura difesa poiché i nazifascisti, già preoccupati del movimento partigiano delle Valli bresciane che ogni giorno si fa intenso e pericoloso, iniziano i primi famigerati rastrellamenti, che saranno la caratteristica e la tattica non solo dei teutonici ma anche dei fratelli italiani che indossano le tristi casacche della neo repubblica fascista e delle brigate nere.
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Anche i militi della SS tedesca già ricercano a casa sua Pelosi, chiedendo ai genitori dove fosse il figlio ufficiale. Ormai non si torna più indietro.
Per avere armi automatiche più volte il Pelosi si reca dal sig. Beretta di Gardone V.T. implorando in nome della Patria armi e munizioni per i suoi ribelli, ma il sig. Beretta (si ignora quale) resta sordo agli accorati appelli del giovane, congedandolo cortesemente con la carezzevole promessa di dargli una dozzina di fucili mitra ogni settimana. I numerosi abboccamenti che egli ha, anche in compagnia di Cecchino Cinelli, non hanno alcun risultato positivo. Un solo mitra a canna corta ha il Pelosi dai Beretta, mitra che serve ad addestrare gli uomini nella conoscenza di questa arma, nuova quasi a tutti.
Nell’evidente esasperazione per l’impossibilità di una qualsiasi difesa solida in caso di attacco, si decide allora il colpo più audace e più bello che siasi fatto in questa zona: l’assalto alla fabbrica d’armi Beretta. La mattina del sei ottobre il Pelosi manda il proprio Vicecomandante a Gardone V.T. per abboccarsi con i membri del comitato locale; è presente anche un rappresentante del C.L.N. di Brescia; la riunione si tiene nell’ufficio del sig.r Verischi Ermes. Dopo contrastanti vedute, poiché i rappresentanti del C.V.L. non ritengono opportuno il colpo, si accetta la tesi stringente ed obiettiva del Vice C. che parla in nome di Pelosi e che, cioè, egli non può ritornare all’accampamento senza un risultato soddisfacente.
Così è deciso che il colpo avrebbe avuto luogo nella stessa notte. Si avvertono subito i gruppi. Col Gruppo Pelosi sarebbero scesi anche il Gruppo “Martini”, che la notte precedente si era spostato da Vezzola a Croce di Marone, il Gruppo Camplani, il Gruppo del Cap. “Edoardo”. All’imbrunire gli uomini si raggruppano a S.Rocco, chiesa sovrastante Gardone V.T. e i capi scendono in casa Facchetti per esaminare i piani dell’azione sulle piante della Fabbrica fornite dagli operai.
Per l’ora convenuta, le 23, tutto è pronto. Alcuni operari avrebbero dovuto lasciare aperta la porta secondaria e di qui sarebbe passato il grosso degli uomini. Un malaugurato contrattempo fa trovare la porta chiusa, subito si pensa a un tranello, ma l’indecisione è breve. Si fa aprire la porta principale, si immobilizzano le guardie interne ed i carabinieri di servizio ed il grosso entra nello stabilimento. Contemporaneamente alcuni elementi tagliano i fili telefonici e telegrafici fuori del paese ed altra pattuglia è inviata verso Brescia per dare l’allarme in caso di pericolo e proteggere il più possibile la eventuale ritirata del grosso in caso di attacco. Una terza squadra blocca la caserma dei Carabinieri, che, ad onor del vero non oppongono la minima resistenza. Con slancio febbrile le armi e le munizioni sono trascinate fuori dallo stabilimento e portate presso la piccola chiesa di San Rocco sopra G.V.T.
Nella notte quieta il lavorio procede nel massimo ordine e con grande entusiasmo fino alle prime ore del mattino. Bottino: quattro-cinquecento mitra, diverse casse di pistole, centinaia di migliaia di colpi di moschetto, qualche decina di moschetti, tuttavia non si rinvengono le munizioni dei mitra che, si saprà più tardi, si trovano nascoste nell’interno della villa Beretta. Col venire dell’alba il materiale è nascosto un po’ ovunque; la maggior parte delle munizioni nell’interno della chiesetta, i mitra ed i moschetti sotto il tetto della stessa; le casse delle pistole sotterrate nell’orto dei custodi, dove le figlie degli stessi, poi deportate in Germania, sono di grande aiuto. Mentre ancora dura la fatica improba del trasporto dell’ingente bottino, giungono in Gardone su Carri a cingolo i Tedeschi. Il lavoro con sforzo sovrumano è accelerato, ma gli odiati tedeschi, non sapendo valutare precisamente la forza dei ribelli, non si azzardano a salire, limitandosi a guardare dal basso con cannocchiali e a prendere numerose fotografie.
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Diversi giorni dura il faticosissimo lavoro di trasposto per sentieri sempre disagevoli; ma l’ardore è tale che le fatiche non sono sentite: Pelosi è raggiante e ride con il proprio Vicecomandante del bando mussoliniano scaduto alla mezzanotte che commina la pena di morte agli sbandati che non si presentano. Il giorno 7 il Vicecomandante è inviato da Pelosi con un biglietto per riferire a Palazzo San Paolo sull’esito dell’azione.
Mentre il Vicecomandante è a Brescia per missione, a Croce di Marone sorge un grave incidente tra Pelosi e Martini in quanto questi pretende di disarmare il Gruppo Pelosi per impadronirsi di tutte le armi. Solo pochi uomini di Peppino sono presenti degli ottanta che compongono il Gruppo, dato che gli altri stanno completando il trasporto delle armi mentre gli uomini di Martini circondano Pelosi come tanti scagnozzi non sospettando minimamente, tanto era la fiducia riposta nel capo, che il loro comandante stesse facendo il gioco del nemico e che più tardi sarebbero lasciati vilmente nel pericolo soli, poiché Martini, a conoscenza dell’attacco dei nazifascisti, si sarebbe allontanato.
Venuti a conoscenza del fatto, gli uomini del Gruppo Pelosi, disgustati dal comportamento di Martini, abbandonano Croce di Marone e si portano a Spiedo di Gardone V.T., pregando il Pelosi di scendere con loro. E Peppino, anche esso disgustato e deluso, scende accorato a Spiedo. Alcuni uomini isolati del Gruppo si aggregano al Cap. Camplani.
E’ così che Pelosi dà il comando di Spiedo al proprio Vicecomandante che preferisce lasciare il comando ad altro ufficiale inviato dal Comitato di Brescia, pur restandone sempre il Vicecomandante. Il Gruppo è in stretto contatto con Cecchino Cinelli, Commissario della zona e assai benvoluto dagli uomini che sono quasi tutti di Gardone.
Mentre il Gruppo Pelosi si ricostruisce su nuove basi e con Cinelli compie il colpo a Tavernole dove si impadronisce di ingenti quantità di burro e formaggi, che sarà distribuita a tutti i partigiani della zona, Pelosi si trasferisce con alcuni compagni al rifugio Maniva, dandosi attivamente alla formazione di nuovi gruppi ribelli.
La brigata Margheriti è organizzata da lui che la cura nei più minuti particolari, dando a questa la parte sua migliore.
Dal Maniva scende anche a Bagolino per formarvi altro gruppo ma qui lavorano già attivamente i fratelli Pelizzari ed il cap. Bordiga.
Allora idea l’organizzazione del’ospedale al Maniva. Per fare ciò necessita materiale di casermaggio, coperte e lenzuola. Manda allora il tre novembre alcuni compagni ad Ombriano di Marmentino per ritirarvi un camion O.M. di provenienza bellica, nascosto da alcuni sbandati, e che il Comitato di Brescia aveva in precedenza segnalato. L’autocarro è infatti rinvenuto mentre gli sbandati che lo avevano occultato sono in procinto di venderlo. Dopo lunga e penosa discussione, che può degenerare ad un certo momento a vie di fatto, il camion è ritirato.
Ma l’ospedale non vede la luce per deficienze tecniche e per la materiale possibilità di difesa. E Pelosi vaga qua e là in cerca di aiuti e di uomini, forse intralciato dagli stessi esponenti del movimento clandestino che non lo ritengono idoneo perché giovane e perché timido. E Peppino salva soldati alleati aprendo loro la via dell’ospitale Svizzera, incuora i deboli, aiuta con tutte le sue magre possibilità finanziarie tutti quanti sbandati e ribelli lo avvicinano. Ed intanto il 10 dicembre 1943 il Gruppo da lui fondato è attaccato a Spiedo da preponderanti forze di tedeschi e fascisti. Si difendono gli uomini come possono, ma alla fina si sbandano.
E un’altra spina che giunge a Pelosi: il Gruppo che lui entusiasticamente ha fondato dopo l’otto settembre, forse nato
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sotto cattiva stella, non esiste più, e gli uomini che lo componevano tristi e avviliti, stanchi e sfiduciati, si aggregano ad altri Gruppi, si portano in Svizzera, vanno alle loro case.
Pelosi continua la sua opera instancabile, silenzioso, col sorriso di un Santo, calmo, generoso.
Pare di rivederlo ancora quel fanciullone buono, che adorava Cristo, con quei limpidissimi occhi, con il viso aperto, anima di semplice, sognatore!
Anima generosa, sarà catturato a Lovere per la sua generosità, per il suo amore e rinchiuso nella tetra , terribile Fortezza di Verona. Di là la sua anima vibra sotto le scarpe chiodate del teutone che non può sentire le vibrazioni di una anima così grande, che vuole da lui una confessione. E la confessione viene: “Si, sono un ufficiale dell’Esercito, sono ribelle.”
Ed un vile processo, con una vilissima procedura che permette di rincuorare la mamma che da Verona ritorna a casa ancora con una speranza nel cuore, poiché le “SS” la rassicurano che non sarà fucilato, una scarica abbatte il generoso instancabile Peppino, che prima di spirare offre a Dio il perdono per i suoi carnefici.
Gli unici, coloro che sui monti non lo ebbero comandante bensì fratello, non potranno mai dimenticarlo.
Voglia il suo ricordo essere fiamma per tutti, per tutti gli Italiani, anche per coloro che scientemente o inconsapevolmente lo braccarono e lo catturarono.
Firmato: GELMI PIERINO Vicecomandante del Gruppo Pelosi
Firmato: MINELLI LINO Aiutante dello stesso.
FONTE DOCUMENTARIA: Archivio Storico della Resistenza Bresciana e dell’Età contemporanea dell’Università Cattolica di Brescia, busta 56, fascicolo 1, numero 72.