OTTANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’INCENDIO DI CEVO- CENNI STORICI

“Il Questore di Brescia, Manlio Candrilli, sollecita – nel rapporto del 16 giugno – un intervento risolutore contro il ribellismo «sempre sensibile in Valcamonica, con epicentro a Valsaviore». Egli propone al ministero dell’Interno di organizzare «immediatamente un’azione decisa e a fondo per annientare questa banda di Valsaviore che è l’unica esistente in provincia e che secondo informazioni pervenutemi non è forte di due o tremila elementi, come si dice, ma di circa duecento uomini, quasi tutti delinquenti comuni». Viene dunque preparata una spedizione in grande stile, per chiudere finalmente i conti con i garibaldini camuni. I quali, nel frattempo, estendono ulteriormente la loro influenza. [...]
Per il 3 luglio si preparano, a Cevo liberata, i funerali partigiani del ventiduenne Monella.
La notizia, pervenuta tempestivamente al Comando della GNR di Breno, attira la rappresaglia fascista, nel calcolo di cogliere i garibaldini nel centro abitato e debellare una volta per tutte la piaga del ribellismo in Valsaviore.
All’alba i militi neri si avvicinano al paese «rosso». [...]
Verso le 6 inizia l’attacco, scatenato da tre direttrici. In paese si trovano molti partigiani cevesi, che d’istinto decidono di resistere.
Dopo due ore di scontri, gli aggressori entrano in paese e azionano i
lanciafiamme. Il primo edificio incendiato, nella parte bassa dell’abitato, appartiene alla famiglia Vincenti. Le avanguardie delle camicie nere si dirigono verso la casa di Luigi Monella, dove cospargono di benzina la bara del partigiano e poi vi appiccano il fuoco: evidentemente, sono stati bene informati sul programma della giornata. Mentre alcuni militari vilipendono la salma, altri provocano nuovi lutti. Il barbiere Giacomo Monella viene freddato con una fucilata alla schiena, mentre aiuta la sorella a fuggire. La contadina Giacomina Biondi è ferita gravemente in località “Albe” inizio via Androla. Lo Scalpellino Francesco Biondi, padre di quattro figli, viene ucciso davanti alla sua baita, alla presenza dei familiari. Il diciannovenne Cesare Monella viene ammazzato dopo la resa. Il diciottenne Giovanni Scolari, catturato e torturato, è condotto verso Saviore, legato a una sedia e fucilato. Dopo l’esecuzione, un milite fa rotolare con un calcio il cadavere – ancora legato alla sedia – lungo il prato in pendenza. Il corpo viene portato alla colonia Ferrari e quindi consegnato ai famigliari e la sedia, scheggiata dalle pallottole, conservata quale reliquia del suo martirio e come reperto della crudeltà fascista. [...]
Cevo brucia. A gruppi di decine, persone terrorizzate salgono in affanno verso gli alpeggi. Circa centocinquanta abitazioni sono distrutte, totalmente o in parte. Gli sfollati, ammontano a centinaia.
All’indomani del disastro, Alberto Monella si aggira tra le rovine fumanti della sua abitazione, per raccogliere con disperata dedizione i pochi resti del figlio Luigi: trova alcune ossa calcificate e le colloca amorevolmente in una scatola di latta, con l’intenzione di celebrare a fine guerra il funerale impedito dall’assalto fascista”.

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Testo tratto da “Il Museo della Resistenza di Valsaviore- Guida alla storia e alla documentazione” dello storico Mimmo Franzinelli.